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Fai uscire l'elefante dalla stanza...

Il Problema Evidente di cui Nessuno Parla

Credits  Sora
Credits Sora

Cos’è l’“Elefante nella Stanza” in Azienda?


“L’elefante nella stanza” è una metafora che descrive una verità scomoda o un grosso problema noto a tutti, ma di cui nessuno osa parlare apertamente. In alcune culture esiste persino un termine dedicato: ad esempio mokita nella lingua Kivila della Papua Nuova Guinea indica “la verità che tutti sanno ma su cui si è concordato di tacere”​ – in pratica proprio il concetto di elefante nella stanza. È quel progetto fallimentare, quel conflitto latente tra colleghi o quella pratica discutibile evidente a tutti, ma che rimane un tabù. Si tratta di dinamiche silenti che possono riguardare conflitti ignorati, problemi culturali taciuti o squilibri di potere non affrontati, e che continuano a esistere nonostante il loro impatto negativo.


Questo fenomeno metaforico può manifestarsi in vari modi in un’organizzazione. Ad esempio, un comportamento tossico da parte di una figura di potere può diventare il “grande elefante” che tutti evitano di menzionare. Una cultura lavorativa deteriorata o ostile può diventare un colossale problema visibile a chiunque internamente, ma che pochi osano affrontare​. In altri casi, l’elefante può essere un problema sistemico noto (come una procedura inefficiente o un valore aziendale disatteso) sul quale però cala un silenzio collettivo: tutti ne sono consapevoli, eppure vige una sorta di finzione collettiva in cui si finge che tutto vada bene pur di evitare imbarazzo o conflitto​


Le Radici del Silenzio: Perché gli “Elefanti” Restano Invisibili

Diverse cause psicologiche e organizzative possono spiegare perché certi problemi restano “invisibili” nelle discussioni, pur essendo ben noti a tutti. Una principale causa è la paura: le persone spesso temono che parlare apertamente di un problema possa esporle a ripercussioni o danneggiare le relazioni. In ambienti dove manca la sicurezza psicologica (concetto introdotto dalla professoressa Amy Edmondson), i dipendenti percepiscono che esprimere idee o preoccupazioni comporti rischi interpersonali. Edmondson definisce la sicurezza psicologica come “la convinzione condivisa che il contesto sia sicuro per il rischio interpersonale”, ovvero la certezza che “esprimersi con idee, domande, preoccupazioni o errori non comporterà punizioni o umiliazioni, ma sarà anzi accolto positivamente”​. In assenza di questa sicurezza, prevale la paura di ritorsioni o giudizi, e quindi le persone preferiscono tacere anche di fronte a problemi evidenti.


Un secondo fattore è la cultura organizzativa del conflitto evitato. Spesso le aziende incoraggiano – anche implicitamente – l’idea che “andare d’accordo è più importante che avere ragione”. Quando il management o il team tende a privilegiare un’apparente armonia rispetto alla discussione sincera, si instaura quella che Patrick Lencioni chiama armonia artificiale. Lencioni, nel modello delle 5 disfunzioni del team, descrive come il timore del conflitto porti i gruppi a evitare i dissensi per mantenere la pace, ma così facendo “il desiderio di preservare un’armonia apparente soffoca il conflitto costruttivo”​.In pratica, un team può sembrare unito e sereno in superficie, mentre problemi e divergenze reali ribollono sotto traccia, non risolti.


Un ruolo cruciale lo giocano anche le dinamiche di potere e le convinzioni dei leader. La ricerca di Morrison & Milliken (2000) sulla cultura del silenzio organizzativo evidenzia che alcuni comportamenti manageriali alimentano direttamente il silenzio. Per esempio, la paura dei manager di ricevere feedback negativi può indurli (consciamente o meno) a scoraggiare le cattive notizie – creando un clima dove i collaboratori imparano che “è meglio tacere i problemi”​

Inoltre, i manager possono essere influenzati da credenze implicite dannose, come pensare che “il disaccordo minacci l’unità del team” o che “solo la direzione sa davvero cosa è meglio”. Morrison e Milliken notano che la convinzione che “unità, accordo e consenso siano segni di salute organizzativa” porta i leader a evitare punti di vista contrari, soffocando qualunque opinione dissenziente​

Allo stesso modo, la credenza che “spetti solo al management prendere decisioni” può far sì che le idee o le preoccupazioni espresse dai livelli inferiori vengano ignorate, scoraggiando di fatto la comunicazione aperta dal basso​

Questi atteggiamenti creano un forte deterrente a parlare: i dipendenti si convincono che sollevare “l’elefante” non sia né loro diritto né opportuno.


Infine, fattori culturali nazionali e personali possono incidere. In contesti ad alto power distance (distanza di potere), tipici di culture gerarchiche, mettere in discussione le decisioni dei capi è socialmente scoraggiato. I collaboratori, abituati a un rispetto formale dell’autorità, eviteranno di segnalare problemi per non sembrare irrispettosi. Anche la mancanza di intelligenza emotiva può contribuire: secondo lo psicologo Daniel Goleman, l’intelligenza emotiva nei leader include l’empatia e le abilità sociali necessarie a gestire i conflitti. Un leader con alta EI sa riconoscere tensioni latenti e affrontarle con tatto, mentre uno poco empatico potrebbe ignorare (o aggravare) l’elefante. Goleman sottolinea l’importanza della competenza di Conflict Management, ovvero la capacità di “aiutare gli altri in situazioni tese, portare con tatto i disaccordi alla luce del sole e guidare verso soluzioni condivise”

Se chi guida il team non possiede queste abilità, i conflitti resteranno sommersi e irrisolti. D’altro canto, leader dotati di intelligenza emotiva favoriscono ambienti in cui i disaccordi vengono discussi apertamente e in maniera costruttiva, prima che diventino problemi cronici.


Esempi di “Elefante nella Stanza” Organizzativo

Nella pratica quotidiana delle Risorse Umane e della vita aziendale, gli elefanti nella stanza possono assumere svariate forme. Eccone alcune tipiche manifestazioni:

  • Conflitti latenti tra persone o reparti: tensioni o attriti personali che tutti percepiscono (colleghi che non si parlano, attriti tra team con obiettivi in competizione) ma che non vengono mai affrontati direttamente. Il conflitto latente è per definizione “un disaccordo sotterraneo, in cui le tensioni non sono dichiarate apertamente”​

    Spesso se ne colgono gli indizi sottili – comunicazione fredda, evitamento reciproco, frecciatine – ma manca la volontà o l’occasione di discuterne apertamente. È importante notare che un conflitto latente non affrontato non scompare magicamente: rimane in attesa di un trigger per esplodere. Come avverte un esperto, “se eviti di avere conversazioni sulle tensioni, è altamente probabile che prima o poi ti troverai a gestire un conflitto aperto”

    Ignorare questi segnali significa permettere al malumore di crescere fino a sfociare in scontri ben più gravi in futuro.


  • Problemi di performance o di progetto ignorati: ad esempio un progetto in grave ritardo o al di sotto degli standard, di cui però nei meeting nessuno parla per evitare colpevolizzazioni. Tutti sanno che l’iniziativa X sta fallendo, ma ufficialmente nessuno lo dichiara. Questo elefante può persistere perché ammettere un fallimento è emotivamente difficile o politicamente rischioso. La cultura del “non portare brutte notizie” può far sì che gli insuccessi siano insabbiati finché possibile. Ciò ovviamente impedisce di correggere la rotta o di apprendere dagli errori, aggravando il danno.

  • Comportamenti tossici tollerati: casi in cui una persona (spesso in posizione di potere o con alta anzianità) adotta sistematicamente comportamenti scorretti – ad esempio prepotenza, micro-aggressioni, commenti denigratori – ma l’organizzazione fa finta di nulla. Colleghi e HR magari ne discutono sottovoce, ma ufficialmente il tema è tabù perché coinvolge un “intoccabile”. Questa tolleranza crea un enorme elefante: “una cultura tossica rimane in azienda come un gigantesco elefante nella stanza: tutti lo vedono, pochi osano confrontarlo”

    Il risultato è che inciviltà, umiliazioni o colpevolizzazioni continuano indisturbate​, minando profondamente la fiducia e il rispetto tra dipendenti.


  • Problemi culturali o di clima organizzativo: ad esempio una diffusa carenza di fiducia nel management, o un forte squilibrio vita-lavoro sofferto da molti, di cui però non si parla apertamente. Tutti i dipendenti possono essere consapevoli che “qui la gente è esausta e demotivata” oppure che “c’è un clima di paura”, ma se la cultura dominante scoraggia ammettere le debolezze organizzative, queste verità rimangono elefanti silenti. Un termine come “polite fiction” (“finzione cortese”) ben descrive la situazione in cui “tutti conoscono la verità ma adottano una realtà alternativa per evitare imbarazzo o vergogna”

     – ad esempio far finta che l’atmosfera sia ottima, quando in realtà regna il malcontento.


In tutti questi casi, l’elemento comune è il divario tra la realtà percepita e il discorso ufficiale. L’elefante nella stanza prospera dove c’è un non detto collettivo: problemi noti ma non formalmente riconosciuti. Questa divergenza crea dissonanza e ha conseguenze profonde sul piano umano, sulle prestazioni e sulla salute dell’organizzazione.


Implicazioni sul Benessere Psicologico dei Dipendenti

Mantenere il silenzio su questioni importanti ha un costo elevato sul piano umano. Gli individui coinvolti in un contesto dove “ci sarebbe tanto da dire, ma non si può dire” sperimentano una tensione interna significativa. Studi sul fenomeno del silenzio organizzativo mostrano che i dipendenti che si sentono costretti a tacere possono provare stress, senso di colpa e frustrazione

Da un lato c’è la consapevolezza del problema e magari il senso di responsabilità o desiderio di migliorare le cose; dall’altro c’è l’impossibilità (auto-imposta o etero-imposta) di agire o parlare. Questa condizione genera una forma di dissonanza cognitiva: il lavoratore sente di non essere allineato con i propri valori o con ciò che ritiene giusto fare​

Ad esempio, un HR business partner che valorizza l’onestà e la trasparenza vivrà molto male il dover sorvolare su comportamenti scorretti di un dirigente.


Col tempo, queste sensazioni possono sfociare in un calo del benessere psicologico: i dipendenti non si sentono valorizzati (perché la loro opinione viene sistematicamente ignorata) e sviluppano un senso di impotenza rispetto al proprio contesto di lavoro​

La ricerca indica conseguenze come disaffezione, demotivazione e alienazione: chi si sente ridotto al silenzio tende a disimpegnarsi, a perdere fiducia nell’azienda e può manifestare comportamenti passivi-aggressivi o di “remissione” (es. assenteismo, rispettare solo il minimo indispensabile). In casi più seri, il protrarsi di un clima del genere può contribuire a problemi di salute mentale: elevati livelli di stress continuativo sono correlati a depressione e burnout, e alcuni studi segnalano che il silenzio organizzativo prolungato può portare perfino ad abuso di sostanze come meccanismo di coping​

In altre parole, operare in un contesto dove c’è un costante elefante nella stanza può letteralmente far ammalare le persone.


Da non sottovalutare è anche l’effetto sul senso di fiducia e appartenenza. Se un dipendente vede che un problema evidente viene ignorato dall’azienda, può perdere fiducia nei leader (“perché non intervengono?”) e nei colleghi (“perché facciamo finta di niente?”). Si genera un clima di cinismo e rassegnazione poco compatibile con il benessere: le persone smettono di credere che valga la pena impegnarsi o parlare, sviluppando un atteggiamento distaccato e difensivo. Viceversa, quando le persone si sentono libere di esprimersi, l’effetto sul benessere è positivo: un ambiente di sicurezza psicologica riduce ansia e paura, aumentando engagement e soddisfazione. Non a caso, le ricerche di Edmondson e colleghi mostrano che team con alta sicurezza psicologica riportano maggior job satisfaction e apprendono più facilmente dagli errori, avendo meno timore di ammetterli​

In sintesi, affrontare gli elefanti (anziché ignorarli) crea un ambiente più sano dove le persone possono esprimersi autenticamente senza “camminare sulle uova” ogni giorno.


Impatto sull’Efficacia dei Team e sulle Performance

L’elefante nella stanza non è solo un problema “umano”; ha ripercussioni tangibili anche sulla performance dei team e sulla qualità del lavoro. Un team che evita sistematicamente certi argomenti critici finirà per prendere decisioni meno efficaci. Come osservano Morrison e Milliken, il processo decisionale soffre gravemente in presenza di silenzio organizzativo, perché le scelte vengono prese senza un confronto aperto di idee e senza considerare informazioni cruciali che però sono taciute​

In altre parole, se “nessuno dice al re che è nudo”, il re continuerà a fare scelte basate su una percezione distorta della realtà. I punti di vista alternativi – spesso fondamentali per evitare errori – non emergono. Questo può portare a errori strategici o operativi: problemi inizialmente piccoli ignorati da tutti possono ingigantirsi fino a causare gravi fallimenti che “colgono di sorpresa” l’organizzazione (anche se, retrospettivamente, molti affermeranno “lo sapevamo, ma nessuno ha detto niente”). Infatti, un effetto documentato del silenzio è l’incapacità di correggere per tempo gli errori: senza la segnalazione onesta dei problemi, questi si aggravano fino a esplodere​



La mancanza di dialogo aperto soffoca anche l’innovazione e il miglioramento continuo. In un team dove regna l’armonia di facciata, i membri eviteranno di sfidare lo status quo con idee nuove o di esprimere dubbi su una direzione presa. Questo porta a minor creatività e minor capacità di adattamento. Viceversa, la ricerca sui team ad alte prestazioni (come il famoso Project Aristotle di Google) ha rivelato che la caratteristica numero uno dei gruppi più efficaci è proprio un clima in cui tutti sentono di poter parlare liberamente: la sicurezza psicologica era il fattore distintivo principale dei team Google più performanti

. Ciò significa che affrontare subito i piccoli elefanti (domande scomode, critiche costruttive, dubbi) consente al team di aggiustare il tiro rapidamente, di innovare e di non accumulare “debito comunicativo”. Al contrario, evitare ogni conflitto comporta un’apparente pace oggi, ma prepara problemi molto più grandi per il domani.


Un altro impatto evidente è sul coordinamento e l’esecuzione. Quando un problema importante non viene nominato, è difficile che ci siano piani d’azione chiari per gestirlo. I membri del team possono avere ciascuno una percezione diversa della situazione (ricordiamo la parabola dei ciechi e dell’elefante: ognuno tocca una parte e pensa sia qualcos’altro​

) e dunque agire in modo disallineato. Ne derivano confusione, inefficienze, e spesso un ulteriore calo di fiducia reciproca (“Perché nessuno mi aveva detto che questa era una questione così seria?”). Inoltre, la mancanza di confronto può generare decisioni deboli e scarsa adesione: se nessuno esprime dissenso, in apparenza tutti “sono d’accordo”, ma può trattarsi di compliance passiva più che di vero commitment. Quante volte in riunione tutti annuiscono per poi lamentarsi al caffè? Questa pseudo-unanimità significa che le possibili criticità non sono state discusse in sala, e quindi riaffioreranno fuori sotto forma di resistenze passive o boicottaggi involontari. Non affrontare il conflitto infatti non lo elimina: semplicemente lo sposta dietro le quinte, dove però continua a influire negativamente sulla performance. Team con conflitti latenti mostrano cali di produttività e motivazione: l’energia che dovrebbe andare al lavoro viene in parte assorbita dalla tensione sotterranea e dal malcontento non espresso​



Infine, non va dimenticato l’impatto sui risultati di business in senso stretto. Studi aziendali stimano che il costo dei conflitti evitati o gestiti male si misuri in miliardi (perdite di produttività, turnover, cause legali, mancata innovazione)​


Un’indagine Gallup ha mostrato che mentre 9 dipendenti su 10 affermano che segnalerebbero comportamenti etici scorretti, in realtà solo 4 su 10 poi lo fanno davvero, e questa reticenza porta danni non solo morali ma anche economici all’organizzazione​


Al contrario, affrontare in modo costruttivo le conversazioni difficili porta benefici concreti: l’81% delle persone riporta migliore comprensione reciproca, relazioni più forti e soluzioni più efficaci dopo aver affrontato apertamente un problema spinoso​


In definitiva, ignorare l’elefante ha un prezzo alto: si paga in stress, errori e inefficienze; affrontarlo invece può migliorare drasticamente l’apprendimento e la performance del team.


Effetti sulla Cultura Organizzativa

La presenza (o l’assenza) di elefanti nella stanza è sia sintomo che causa della cultura organizzativa. Se in un’azienda i problemi noti vengono sistematicamente insabbiati, significa che quella è una cultura improntata al silenzio e all’evitamento del conflitto. Tale cultura del silenzio organizzativo tende ad auto-perpetuarsi: i nuovi membri apprendono in fretta “come si fa qui” – ossia che certe cose non vanno dette – e si adeguano di conseguenza​

. Col tempo, l’organizzazione sviluppa quella che Morrison e Milliken chiamano “spirale del silenzio”: più le voci critiche tacciono, più si rafforza la convinzione generale che “esprimere opinioni contrarie è inutile o dannoso”, il che porta ancora più persone a tacere. Si crea un circolo vizioso culturale dove la mancanza di trasparenza alimenta ulteriore mancanza di trasparenza.


Una cultura che evita i propri elefanti finisce anche per inviare messaggi forti e negativi sul piano etico. Ad esempio, tollerare un comportamento tossico comunica implicitamente che i valori dichiarati dall’azienda sono negoziabili: nel codice etico magari si parla di rispetto e integrità, ma nella pratica chi è potente può farla franca violando quei valori. Questo provoca cinismo diffuso – i dipendenti smettono di credere nella cultura dichiarata e adottano atteggiamenti opportunisti o di mera sopravvivenza. All’opposto, le organizzazioni che incoraggiano a “nominare l’elefante” dimostrano con i fatti di prendere sul serio i propri valori di trasparenza, rispetto e miglioramento continuo. Affrontare le verità scomode rafforza una cultura di fiducia: i dipendenti vedono coerenza tra ciò che l’azienda predica e ciò che pratica, e si sentono parte di un ambiente genuino. Si innesca così un circolo virtuoso: maggiore fiducia → più dialogo aperto → problemi risolti prima → ancora più fiducia.

Dal punto di vista dell’agilità organizzativa, una cultura che abbraccia la trasparenza e il feedback continuo (anziché il silenzio) è molto più resiliente e adattabile. Nei principi Agile si enfatizzano la comunicazione costante e la collaboration sincera. Un’organizzazione agile prospera solo se “le persone osano portare alla luce problemi e ostacoli” rapidamente, così da adattarsi. Se invece persiste una cultura di paura, l’agilità viene soffocata: i warning non emergono, gli sprint review dipingono un progresso fittizio, i retrospettivi evitano i veri nodi. In un famoso detto, “la cultura mangia la strategia a colazione”: puoi avere la migliore strategia (o metodologia Agile), ma se la cultura sottostante è tossica o basata sul silenzio, la strategia fallirà​

. Quindi, “affrontare gli elefanti” è una componente chiave di una cultura organizzativa sana e agile. Significa passare da una cultura della colpa e del timore (che genera silenzi) a una cultura dell’apprendimento e della responsabilità condivisa, dove i problemi sono visti come opportunità di miglioramento e non come tabù.


Come Riconoscere l’Elefante e Favorire una Cultura di Apertura


Identificare e affrontare un elefante nella stanza richiede coraggio, empatia e metodo. Fortunatamente, esistono molte pratiche people-centered e approcci mutuati sia dal mondo HR tradizionale sia dalla cultura Agile che possono aiutare. Ecco alcune strategie efficaci per far emergere e gestire gli elefanti nelle organizzazioni:

  • Coltivare il “Radical Candor” (Schiettezza Radicale): Si tratta dell’approccio reso celebre da Kim Scott, basato sul comunicare con onestà diretta combinata alla cura per la persona. In pratica, Radical Candor significa “dire ciò che pensi interessandoti sinceramente della persona a cui lo dici”​-radicalcandor.com

    . Questo approccio incoraggia i leader e i colleghi a dare feedback onesti (anche se difficili) senza essere aggressivi o insensibili. Ad esempio, invece di evitare di segnalare una prestazione insufficiente per “non ferire” un collega, il Radical Candor spinge a affrontare la conversazione: esprimere chiaramente il problema ma con rispetto e benevolenza, mostrando che si tiene al miglioramento di quella persona. Implementare una cultura di candore radicale aiuta a “costruire relazioni di fiducia in modo da poter avere conversazioni difficili che portano a crescita e successo”

    In un ambiente del genere, gli elefanti fanno più fatica a nascondersi, perché c’è un valore condiviso di franchezza: tutti si aspettano feedback sinceri e si sentono responsabilizzati a darli.


  • Incentivare le Conversazioni Coraggiose: Le organizzazioni dovrebbero allenarsi nel parlare di temi scomodi in modo rispettoso. Ciò può avvenire tramite workshop sulla comunicazione assertiva, programmi di coaching o semplicemente dando il buon esempio dall’alto. Amy Edmondson ricorda che la sicurezza psicologica “non significa evitare le conversazioni difficili, anzi è ciò che garantisce che possano aver luogo” – non è “essere sempre gentili”, ma saper discutere anche i problemi senza paura​


    Conversazioni coraggiose significa che leader e collaboratori si assumono la responsabilità di dire quello che va detto, anche se è scomodo, con l’obiettivo di risolvere la situazione e non di accusare. Un modo per incentivare ciò è riconoscere pubblicamente chi solleva un problema (anziché stigmatizzarlo). Ad esempio, in una riunione si può ringraziare un dipendente che ha fatto notare un rischio ignorato, sottolineando come quel coraggio aiuti il team. Inoltre, diffondere storie positive di difficult conversations riuscite rafforza l’idea che affrontare gli elefanti paga. Le evidenze lo confermano: gestire bene una conversazione difficile spesso rafforza le relazioni e porta soluzioni migliori, con l’81% delle persone che riferisce esiti positivi dopo aver affrontato apertamente un problema​. Sapere questo può motivare i team a non evitare il confronto, ma ad abbracciarlo come via per crescere insieme.


  • Costruire una Cultura del Feedback Continuo: Un potente antidoto agli elefanti nella stanza è un flusso continuo di feedback in tutte le direzioni – top-down, bottom-up e peer-to-peer. Se il feedback diventa parte integrante della routine (ad esempio con retrospettive di team frequenti, one-to-one regolari, check-in informali), è meno probabile che si accumulino questioni irrisolte. In un feedback culture, i dipendenti si sentono più autorizzati a sfidare lo status quo perché sanno che condividere osservazioni e idee è non solo accettato, ma incoraggiato​-icagile.com

    . Strumenti tipici dell’Agile come le Sprint Retrospective (retrospettive di fine iterazione) servono proprio a questo: creare uno spazio sicuro in cui la squadra riflette su cosa sta funzionando o meno. È fondamentale che in queste sedi si possa parlare apertamente anche di ciò che non ha funzionato, senza colpe, concentrandosi sulle cause e su come migliorare. All’inizio può essere utile introdurre tecniche di facilitazione (ad esempio il Safety Check all’avvio del meeting, per tastare il livello di sicurezza psicologica, o pratiche come il “rotating devil’s advocate” per far emergere prospettive critiche). Col tempo, il feedback tempestivo diventa un’abitudine: i problemi vengono affrontati “in piccolo” man mano che sorgono, evitando che diventino elefanti giganteschi. È anche utile formare i dipendenti a dare e ricevere feedback in modo costruttivo, così che nessuno tema eccessivamente il momento del confronto. Una volta che il feedback costruttivo è normalizzato, l’elefante nella stanza perde terreno perché poche cose restano non dette.


  • Utilizzare Formati di Confronto Aperto (Open Space, Town Hall, etc.): A volte gli elefanti prolificano perché non esistono i momenti o i luoghi adatti per farli emergere. Strumenti partecipativi come l’Open Space Technology possono essere molto utili. L’Open Space è una metodologia di unconference in cui i partecipanti stessi propongono i temi di discussione e poi si auto-organizzano in gruppi di lavoro su quei temi. Questo format, privo di agenda prestabilita dall’alto, dà voce a qualunque argomento sentito come importante dalle persone – anche e soprattutto quelli che di solito non compaiono nei meeting formali. Ad esempio, in un Open Space interno sull’engagement aziendale, qualcuno potrebbe proporre il tema “Come affrontare la scarsa collaborazione tra dipartimenti A e B”, portando finalmente alla luce un problema noto ma mai discusso apertamente nelle riunioni ufficiali. L’assenza di una struttura gerarchica (chiunque può lanciare un topic e tutti possono scegliere dove contribuire) favorisce un dialogo genuino e spontaneo, e spesso fa emergere verità che erano note “nei corridoi” ma non nelle sale riunioni. Oltre all’Open Space, anche i forum aziendali tipo Town Hall meetings (assemblee plenarie dove i dipendenti possono fare domande anonime al management) e le survey anonime sul clima possono aiutare a identificare elefanti nascosti. L’importante è che il management sia poi disposto ad ascoltare davvero e agire di conseguenza. Creare rituali di comunicazione aperta segnala all’organizzazione che nessun tema è off-limits: se è importante per le persone, se ne può (e deve) parlare.

  • Formare Leader e Team alla Gestione del Conflitto: Affrontare un elefante nella stanza spesso equivale ad affrontare un conflitto latente. Investire nella formazione su competenze di conflitto e comunicazione non può che migliorare la situazione. Workshop su Conflict Resolution, role-play su conversazioni difficili, coaching su Crucial Conversations (dal celebre libro omonimo) sono tutti interventi utili. L’obiettivo è far percepire il conflitto non come un tabù distruttivo, ma come un elemento naturale e persino positivo quando gestito bene. Alcune aziende implementano persino “team norm” esplicite, ad esempio: “Nel nostro team ci impegnamo a segnalare immediatamente qualsiasi problema importante e a discuterne insieme, anche se scomodo”. Un leader può incoraggiare questo dichiarando apertamente: “Preferisco sentire brutte notizie subito, piuttosto che scoprire problemi taciuti più avanti”. Inoltre, leader e HR dovrebbero monitorare attivamente l’ambiente per segnali di tensioni nascoste: cali improvvisi di comunicazione da parte di qualcuno, riunioni in cui tutti annuiscono troppo velocemente, post-meeting in cui emergono i veri commenti. Questi sono campanelli d’allarme su cui intervenire, magari con colloqui individuali o facendone oggetto di discussione in retrospettiva. Gestire il conflitto in modo proattivo significa in definitiva evitare che divergenze normali si trasformino in crisi. Come sintetizza efficacemente Gustavo Razzetti, esperto di culture aziendali: “Non si può far progredire la cultura organizzativa se i membri del team non sono allineati: le conversazioni difficili non sono piacevoli, ma sono necessarie. Nulla si risolve senza confronto”



In conclusione, “affrontare l’elefante” è un atto di leadership diffusa che richiede vulnerabilità e responsabilità da parte di tutti. Significa creare un ambiente in cui le verità possano essere dette con rispetto, dove il disaccordo non è distruttivo ma anzi è visto come un motore di cambiamento positivo. Come evidenziano gli studi e le pratiche citate, i benefici di tale approccio sono enormi: maggiore benessere psicologico, team più coesi ed efficaci, e una cultura organizzativa agile, resiliente e basata sulla fiducia. Il primo passo è riconoscere che l’elefante esiste; il successivo è invitarlo gentilmente fuori dalla stanza – attraverso dialogo, ascolto e azioni coerenti. In un mondo del lavoro in rapida evoluzione, le aziende che sapranno farlo avranno un vantaggio competitivo sia umano che strategico, creando ambienti in cui problemi e conflitti non sono minacce da temere, ma occasioni per crescere e migliorarsi continuamente.​



Fonti: Edmondson, Goleman, Morrison & Milliken, Lencioni, Razzetti, Kim Scott, e letteratura su conflict management e cultura organizzativa. (Vedi riferimenti nelle citazioni)

 
 
 

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Ambra Piscopo Esempio di Manufatto 3d in Training
Ambra Piscopo

Ambra Piscopo

Sono una coach esperta e facilitatore certificata in LEGO® Serious Play® ideatrice di AGILE PEOPLE ITALIA - la metodologia LEGO® SERIOUS PLAY® | Workshop LEGO®

Specializzata nell'accompagnare individui e team attraverso processi di crescita personale e sviluppo professionale. La mia passione per l'innovazione e il miglioramento continuo mi ha portato a integrare metodologie creative e partecipative nelle mie sessioni di coaching e workshop, con l'obiettivo di sbloccare il potenziale nascosto e promuovere una comunicazione efficace all'interno delle organizzazioni.

La mia esperienza come facilitatore LEGO® Serious Play® mi permette di guidare i partecipanti attraverso un processo unico e immersivo, dove l'uso di mattoncini LEGO® diventa uno strumento potente per l'esplorazione di idee, la risoluzione di problemi e la costruzione di visioni condivise.

Le mie sessioni di LEGO® Serious Play® sono adatte a una vasta gamma di contesti, inclusi lo sviluppo della leadership, il team building, la pianificazione strategica e l'innovazione. Collaboro strettamente con i miei clienti per personalizzare ogni esperienza, assicurando che gli obiettivi specifici vengano raggiunti e che ogni partecipante lasci la sessione sentendosi energizzato, ispirato e dotato di nuovi strumenti per il successo.

 

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