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Intelligenza Artificiale e Lavoro: tra Paure, Opportunità e Valore Umano nell’Era dell’AI

Immagine del redattore: Ambra PISCOPOAmbra PISCOPO

Immagina un futuro prossimo: sorseggi il caffè mentre un algoritmo organizza la tua agenda; un assistente virtuale redige la bozza di un report, e un modello di intelligenza artificiale risponde alle email routinarie. Non è fantascienza, ma uno scorcio del presente. L’intelligenza artificiale (AI) è entrata prepotentemente nel mondo del lavoro, portando con sé entusiasmo e timore. C’è chi dipinge uno scenario luddista, con milioni di posti persi, e chi intravede nuove professioni e una produttività senza precedenti. La domanda chiave riecheggia nei consigli di amministrazione come nelle pause caffè: i robot ci ruberanno il lavoro o ci libereranno dalle mansioni ripetitive, permettendoci di esprimere al meglio il nostro potenziale umano? In questo articolo esploriamo il dibattito in modo equilibrato, basandoci su dati solidi e sulle opinioni di esperti, per capire quali settori sono davvero a rischio sostituzione, quali invece cresceranno grazie all’AI, e perché il fattore umano – la creatività, il giudizio e l’intelligenza emotiva – resterà centrale. Prepariamoci, dunque, a un viaggio tra realtà e possibilità, con uno sguardo strategico su come professionisti e aziende possono adattarsi e prosperare nell’era dell’AI.


Oltre la paura: l’AI tra distruzione e creazione di lavoro


Ogni rivoluzione tecnologica ha scatenato paure simili. Dalla macchina a vapore ai computer, l’uomo ha sempre temuto di essere reso inutile dalle proprie invenzioni. Eppure, la storia insegna che innovazione tecnologica non è mai stata una forza unidirezionale di distruzione di lavoro . Ad esempio, l’introduzione di macchine ha eliminato compiti ripetitivi, ma ha anche creato nuovi mestieri e interi settori impensabili prima. Sarà così anche per l’AI?


Secondo Ignacio de Gregorio – divulgatore ed esperto di IA – il bilancio finale potrebbe persino essere positivo: l’AI potrebbe creare più posti di quanti ne distrugga, a patto che la transizione sia gestita con tempi e modalità adeguate. La vera sfida, nota de Gregorio, è evitare uno sbilanciamento temporale: se le vecchie mansioni scompaiono più velocemente di quanto emergano le nuove, allora sì che avremo un problema . In altri termini, non è tanto l’entità del cambiamento, quanto la sua velocità a determinare l’impatto sociale.


Fortunatamente, i dati iniziano a rassicurare. La U.S. Bureau of Labor Statistics (BLS) – l’ente federale che analizza il mercato del lavoro statunitense – non rileva segnali di un cataclisma imminente. Anzi, nelle sue ultime proiezioni decennali, la BLS sottolinea che non vi sono evidenze chiare a supporto dell’idea che i miglioramenti di produttività indotti dall’AI elimineranno più posti di quanti ne vengano creati . In molti casi, l’AI sta ridefinendo i ruoli più che cancellandoli: sta riscrivendo il lavoro, per citare il professor Enrique Dans, non rubandolo. Dans – docente e commentatore di innovazione – suggerisce infatti che la tecnologia tende più a trasformare la natura delle professioni che a eliminarle completamente, richiedendo semmai competenze più sofisticate e strategiche ai lavoratori umani . La lezione è chiara: invece di temere passivamente il cambiamento, dobbiamo analizzarlo e prepararci ad essere parte attiva della prossima evoluzione del lavoro.


Lavori ad alta esposizione: le mansioni a rischio sostituzione


Chi sono, dunque, i candidati principali alla sostituzione da parte dell’AI? Gli esperti convergono su un punto: le attività più ripetitive, standardizzate e basate su regole fisse sono le prime nella linea di tiro. In particolare, i cosiddetti “colletti bianchi” delle funzioni amministrative di base e del data processing stanno vivendo ciò che gli operai manifatturieri hanno vissuto nell’era della robotica. Joe Procopio, imprenditore e autore di settore, osserva che molti ruoli impiegatizi di livello junior – quelli in cui “ci si rende produttivi dopo appena un paio di giorni di affiancamento” – sono destinati a scomparire . Quando le mansioni consistono in compilazione di report standard, inserimento dati, recensione di documenti o risposta a FAQ ripetitive, gli algoritmi possono apprendere in fretta e svolgere il lavoro in maniera instancabile.


I numeri confermano questa tendenza. La BLS prevede entro il 2033 un calo occupazionale del –4,7% per i trascrittori medici (che trasformano audio in testo) e del –5,0% per gli addetti al customer service . Si tratta di due professioni emblematiche: la prima è altamente routinaria e già oggi sostituibile da sistemi di speech-to-text avanzati; la seconda sta cedendo il passo ai chatbot e agli assistenti virtuali potenziati dall’AI, capaci di gestire le richieste comuni dei clienti . Allo stesso modo, nell’industria assicurativa si prevede un ridimensionamento dei periti e liquidatori di sinistri: droni e algoritmi di visione artificiale permettono di ispezionare danni a immobili o veicoli e generare automaticamente le stime di risarcimento, riducendo il bisogno di personale umano. Non a caso, i periti assicurativi e investigatori vedranno un calo stimato del –4,4%, e i periti di danni auto addirittura del –9,2% nei prossimi dieci anni .


Un altro campo emblematico è quello legale. Le intelligenze artificiali generative (LLM come ChatGPT) sanno già setacciare contratti, sintetizzare documenti e persino predisporre bozze di atti legali. Ciò significa che le figure di supporto – ad esempio paralegali e assistenti legali – sono ad alta esposizione. La BLS stima per questi ruoli una crescita occupazionale praticamente piatta (+1,2% in dieci anni, contro una media del +4% per tutte le professioni) , segno che l’automazione assorbirà gran parte delle attività di ricerca e preparazione documentale. Gli studi legali stanno già adottando software di e-discovery e analisi contrattuale che permettono a un singolo avvocato, con l’ausilio dell’AI, di svolgere in poche ore il lavoro che richiedeva giorni di un team di praticanti . Tuttavia – ed è un tuttavia cruciale – la presenza dell’AI non elimina del tutto il lavoro umano neppure in questi contesti: il prodotto generato dalla macchina deve essere verificato, contestualizzato e completato da un professionista. Non a caso, gli avvocati in senso stretto dovrebbero continuare a crescere a un ritmo simile alla media (+5,2% entro il 2033) , poiché rimangono indispensabili per rivedere le conclusioni dell’AI, interagire coi clienti, comparire in udienza e in generale fornire quel giudizio esperto e quella responsabilità legale che una macchina non può assumere.


In sintesi, i settori più esposti all’automazione tramite AI sono quelli caratterizzati da attività ben strutturate, ripetitive e con scarso bisogno di intervento creativo o relazionale. Oltre agli esempi citati (supporto clienti, trascrizione, back-office assicurativo e legale), possiamo includere parti del lavoro in contabilità di base, data entry, compilazione di report finanziari standard e persino certi compiti di sviluppo software junior. Su quest’ultimo fronte, Enrique Dans fa notare un paradosso: gli sviluppatori software sono tra i primi ad aver adottato massicciamente l’AI generativa per scrivere codice, con il risultato che un programmatore senior, grazie all’AI, può svolgere il lavoro di più junior, rendendo meno necessarie le posizioni di ingresso . Ciò non significa che i giovani programmatori non abbiano futuro, ma che dovranno evolvere più rapidamente verso competenze avanzate, dato che scrivere codice di routine sarà il terreno di gioco delle macchine. I mestieri della conoscenza “seriale” – dove si applicano schemi ripetitivi su larga scala di dati o testi – saranno insomma quelli dove l’AI avrà gioco più facile nel breve termine.


Professioni in crescita: i settori potenziati dall’AI


Per bilanciare il quadro, è fondamentale illuminare l’altro lato della medaglia: esistono interi settori e profili professionali che l’AI sta potenziando e renderà ancora più richiesti. La stessa BLS, nei suoi studi, invita a non perdere di vista questo fenomeno di “compensazione”: mentre alcune occupazioni calano, altre esplodono in termini di domanda. In particolare, man mano che le aziende adottano strumenti avanzati, aumenta il bisogno di esperti che sappiano progettare, implementare e gestire queste nuove tecnologie .


Un dato eloquente: il settore “Servizi professionali, scientifici e tecnici”, che include gran parte dei lavori tecnologici e di consulenza avanzata, è proiettato a crescere del +10,5% tra il 2023 e il 2033, più del doppio della media nazionale USA . Questo segmento comprende aziende di software, società di data science, consulenza informatica, R&D tecnologico – insomma l’ecosistema dove l’AI viene creata e applicata. In pratica, l’AI sta generando un circolo virtuoso: perché i suoi benefici si realizzino, servono più ingegneri, analisti e specialisti IT. La BLS sottolinea che l’impatto dell’AI sull’occupazione tech è incerto ma presumibilmente positivo, perché all’aumentare della pervasività dei sistemi digitali, serviranno più sviluppatori software, data manager e professionisti IT per mantenerli e farli evolvere .


Quali sono, dunque, le professioni emergenti trainate dall’AI? In prima linea troviamo tutte le figure legate ai dati e alla sicurezza informatica. I data scientist – coloro che estraggono valore dai big data attraverso algoritmi (spesso di AI stessa) – registreranno la crescita occupazionale più rapida in assoluto: si stima un incredibile +42% nel prossimo decennio . A ruota, gli analisti della sicurezza informatica cresceranno di circa +41%, riflettendo la necessità di proteggere sistemi sempre più automatizzati . Anche i ricercatori in informatica e AI (ad esempio specialisti di machine learning, progettisti di nuovi algoritmi) vedranno opportunità in forte espansione (+32%) . Si noti che questi tassi di crescita sono ben superiori alla media e indicano fame di competenze avanzate: non si trovano facilmente sul mercato oggi abbastanza professionisti con queste skill, quindi le aziende si contenderanno i migliori talenti e investiranno in formazione.


Un altro ambito da evidenziare è quello della progettazione di sistemi e software. La BLS prevede che l’industria dei servizi di “computer systems design” sarà la più dinamica in assoluto, con un balzo di quasi +20% degli occupati entro il 2033 . Questo settore include le software house e le società che integrano soluzioni AI per altre aziende. La spinta viene proprio dalla diffusione dell’AI: ogni azienda che vuole implementare automazione intelligente ha bisogno di consulenti, sviluppatori e project manager che adattino l’AI ai processi specifici. Come nota l’analista Elka Torpey, “l’adozione di tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale sarà uno dei principali driver della domanda di lavoratori in questo settore” . In parole semplici, più AI enterprise si adotta, più servono ingegneri del software, architetti di sistemi, esperti di integrazione.


Va sottolineato che non solo l’ICT puro beneficia dell’AI. Pensiamo alla finanza: l’AI sta automatizzando molti calcoli e attività di reporting, è vero, ma sta anche aprendo nuove possibilità di analisi dei dati finanziari e consulenza personalizzata. Un caso emblematico è quello dei consulenti finanziari personali: nonostante l’avvento dei “robo-advisor” (piattaforme AI che suggeriscono investimenti), la domanda di consulenza umana qualificata rimane alta, specie da parte dei clienti più anziani e con patrimoni complessi. Infatti, la proiezione occupazionale per i consulenti finanziari negli USA è di un robusto +17,1% entro il 2033 . Molti risparmiatori apprezzano l’efficienza dell’AI nel macinare numeri, ma quando si tratta di decisioni cruciali preferiscono l’empatia e l’esperienza di una persona in carne ed ossa. Il risultato è un modello ibrido: l’AI fornisce analisi di base e automazione, il consulente umano offre il tocco personalizzato e contestuale.


Anche nel già citato campo legale possiamo parlare di crescita guidata dall’AI: i professionisti che sapranno integrarla nel proprio lavoro diventeranno più produttivi e competitivi. Enrique Dans sintetizza questa idea con una frase efficace: “La IA non è un professionista, quindi non ti ruberà il lavoro. Chi potrebbe farlo è un professionista che la sappia usare” . In pratica, un avvocato potenziato dall’AI può gestire più casi, a costi inferiori per il cliente, aumentando il giro d’affari dello studio . Si crea così un ecosistema dove vincono i first movers, i primi ad abbracciare la tecnologia: queste persone e aziende vedranno crescere il proprio ruolo sul mercato, non diminuire.


Volgendo lo sguardo in avanti, emergono persino nuovi ruoli professionali che fino a pochi anni fa non esistevano. Oggi si parla ad esempio di esperti di prompt engineering (specialisti nel dialogare con i modelli AI per ottenere risultati ottimali), di AI ethicist (professionisti che guidano l’uso etico e responsabile dell’intelligenza artificiale nelle organizzazioni), o ancora di AI coach che aiutano i team tradizionali ad adottare strumenti di AI. Queste figure potrebbero diventare comuni nelle aziende di domani. È la conferma che l’AI, lungi dal far evaporare il lavoro, lo sta evolvendo su nuovi fronti.


Il fattore costo e sostenibilità: perché non verremo sostituiti in massa (almeno per ora)


Se l’AI è così potente, cosa impedisce alle aziende di rimpiazzare in un colpo solo eserciti di lavoratori con algoritmi? La risposta breve: i costi e la complessità pratica. Implementare soluzioni di AI su larga scala non è banale né economico. Un recente studio del MIT ha messo in luce un dato sorprendente: attualmente solo il 23% delle mansioni lavorative analizzate potrebbe essere automatizzato in modo economicamente vantaggioso con sistemi di AI . In tutti gli altri casi, far fare a una macchina il lavoro di una persona costa ancora di più di quanto costi pagare quello stipendio umano. I motivi di questo gap sono molteplici. Anzitutto, i sistemi di intelligenza artificiale avanzata hanno costi elevati di sviluppo, implementazione e manutenzione: richiedono infrastrutture hardware (o cloud) costose, tecnici specializzati per personalizzarli, e continuano a consumare risorse (energia elettrica, potenza di calcolo) ogni giorno . Inoltre, integrarli nei flussi aziendali può richiedere tempo e superamento di ostacoli organizzativi e normativi . Mentre un dipendente umano è flessibile e si adatta a compiti leggermente diversi, un’AI deve essere ri-addestrata o riprogrammata, con ulteriore investimento.


Lo studio MIT evidenzia che, anche ipotizzando un calo dei costi dell’AI del 20% l’anno, servirebbero ancora decenni prima che automatizzare la maggior parte delle occupazioni risulti conveniente per le aziende . Perfino in un ambito molto promettente come la computer vision (riconoscimento immagini), solo il 3% dei compiti visivi oggi può essere automatizzato in modo economicamente vantaggioso; si potrebbe arrivare al 40% entro il 2026 se i costi calassero e l’accuratezza aumentasse, ma resterebbe comunque una larga fetta in cui il lavoro umano mantiene il vantaggio competitivo . In altre parole, esistono tuttora tantissimi contesti in cui, fatti due conti, conviene tenersi la risorsa umana.


Da non sottovalutare è poi il costo “invisibile” dell’errore: un’AI può commettere sbagli imprevisti (si pensi alle hallucinations dei sistemi generativi, che ogni tanto inventano informazioni false con sicurezza convincente). Per certi ruoli critici, il rischio di un errore automatizzato è più oneroso del costo di uno staff umano accurato. Ecco perché, ad esempio, nel settore sanitario l’adozione dell’AI è ponderata con estrema cautela: un conto è usare l’AI per analizzare immagini mediche come supporto al radiologo, altro conto sarebbe sostituire del tutto il medico, perché un algoritmo potrebbe perdere segnali deboli o contestuali che l’occhio esperto umano coglie. In quest’ottica, molte aziende vedono l’AI più come un alleato dei lavoratori che come rimpiazzo: la utilizzano per aumentare la produttività individuale, non per tagliare brutalmente organici, almeno finché il rapporto costo/beneficio non sarà nettamente a favore delle macchine.


Infine, esiste una considerazione macroeconomica: la sostenibilità sociale ed economica di una sostituzione massiccia. Licenziare in massa per rimpiazzare con AI significherebbe affrontare costi indiretti enormi – dal calo di consumo (meno persone con stipendio, meno clienti per i prodotti) all’instabilità sociale. Le aziende e i governi sono consci che l’innovazione deve procedere in equilibrio con la tenuta del tessuto socio-economico. È anche per questo che molte implementazioni di AI sul lavoro avvengono in maniera graduale, sperimentale, spesso affiancando l’umano (cobot e AI “assistive”) invece di un rimpiazzo immediato.


Il valore umano insostituibile: creatività, giudizio e intelligenza emotiva


Di fronte all’avanzata dell’AI, viene naturale chiedersi: cosa sappiamo fare noi di così speciale che una macchina non potrà fare? La risposta risiede nelle qualità intrinsecamente umane, quelle sfumature del pensiero e del comportamento che non si riducono a meri calcoli. Creatività, capacità decisionale in condizioni di incertezza, empatia, intelligenza emotiva, leadership, etica: sono tutte dimensioni in cui il cervello (e il cuore) umano eccellono rispetto alle macchine odierne.


L’AI attuale, per quanto stupefacente, è in fondo un campione di correlazioni: impara da una mole immensa di dati a riconoscere pattern e a riprodurli. Ma non “comprende” davvero il significato profondo, né possiede coscienza o intuito. Un team di ricercatori MIT ha sottolineato che le macchine difettano di conoscenza implicita e buon senso, quelle doti che noi acquisiamo vivendo nel mondo reale . Ad esempio, un algoritmo che genera un testo persuasivo lo fa mimando ciò che ha visto nei dati di addestramento, ma non sa davvero cosa significhi persuadere né può improvvisare un approccio completamente nuovo senza riferimento ad esempi pregressi. La creatività originale, la capacità di unire concetti lontani in modo inedito, rimane una esclusiva umana. Non a caso, nei lavori creativi l’AI viene usata come strumento (un “muse” o un amplificatore di idee) dagli artisti e dai copywriter, ma la regia creativa complessiva è ancora nelle mani dell’uomo.


Un altro campo dove il tocco umano è insostituibile è quello delle decisioni strategiche e del problem solving non strutturato. I manager e i professionisti esperti sanno che spesso le scelte non dipendono solo da dati numerici, ma da valutazioni qualitative, dall’intuizione su trend emergenti, dalla comprensione di dinamiche politiche o relazionali. L’AI fornisce analisi, scenari e previsioni, ma la decisione finale – specialmente sotto incertezza – richiede responsabilità e giudizio. In un mondo dove le macchine danno risposte, il valore passa a chi pone le domande giuste e sa interpretare le risposte nel contesto del quadro generale.


Soprattutto, c’è la sfera delle competenze emotive e sociali. Ogni lavoro che implichi interazioni umane profonde – dall’educatore al formatore, dal negoziatore al caregiver – si basa su empatia, comunicazione efficace, comprensione dei bisogni e delle motivazioni altrui. Sono capacità che non si imparano da nessun dataset, ma vivendo esperienze umane. Un’AI può riconoscere il sentiment di una frase, può simulare gentilezza nella voce, ma non prova emozioni e non possiede autentica empatia. Come evidenzia lo studio citato, l’AI manca di istinto e “gut feeling”, quell’insieme di ragionamenti inconsci e sensibilità che informano la nostra intelligenza emotiva e il nostro pensiero critico . Per questo, tali abilità “resteranno insostituibili in molte industrie” . Si pensi alla leadership: un conto è un software che ottimizza turni e task, un altro è un leader umano che ispira fiducia nel team, coglie i malumori, motiva nei momenti difficili. Il valore umano nei team non è solo eseguire compiti, ma creare coesione, dare significato e finalità al lavoro – elementi che nessuna macchina può generare.


In definitiva, il futuro del lavoro non sarà un gioco a somma zero tra umani e AI, bensì un nuovo equilibrio. Le competenze tecniche saranno importanti (saper usare e capire l’AI diventerà requisito base in molti ruoli), ma a fare davvero la differenza saranno quelle trasversali, spesso chiamate soft skills. La creatività, il pensiero critico, l’apprendimento continuo, la comunicazione efficace e l’intelligenza emotiva diventeranno il terreno su cui i professionisti si distingueranno. Chi saprà unire competenza digitale e valore umano sarà il più ricercato sul mercato del lavoro potenziato dall’AI.


Adattarsi e prosperare: formazione e coaching nell’era dell’AI


Arrivati a questo punto, il messaggio è chiaro: non siamo destinati a soccombere all’AI, ma dobbiamo evolverci insieme ad essa. Come farlo, concretamente? La parola chiave è formazione, declinata in tutte le sue forme: dall’autoapprendimento alle politiche aziendali di reskilling, fino ai programmi educativi nazionali. È un percorso che coinvolge individui e organizzazioni in sinergia.


Per i professionisti, l’atteggiamento vincente è quello del lifelong learner, dell’apprendimento permanente. Occorre aggiornare continuamente il proprio skill set, sia sul versante tecnico sia su quello trasversale. Ecco alcuni spunti pratici per rimanere competitivi e valorizzare il proprio ruolo nell’era AI:

• Abbracciare l’AI (diventare “AI-literate”) – Invece di ignorare o temere gli strumenti di AI, impariamo a utilizzarli a nostro vantaggio. Ciò significa, ad esempio, sperimentare piattaforme di automazione e analytics nel proprio campo, familiarizzare con tool di machine learning low-code o con servizi di AI generativa (come ChatGPT) per accelerare compiti quotidiani. Un marketer potrebbe usare l’AI per analizzare dati di mercato più velocemente; un avvocato per ricercare giurisprudenza in meno tempo; un project manager per avere sintesi automatiche di report complessi. Diventare competenti utilizzatori dell’AI farà sì che il nostro profilo sia visto come moderno e all’avanguardia. Del resto, come afferma Enrique Dans, non sarà l’IA a rimpiazzarti, ma un collega che la sappia usare meglio di te . Dunque, facciamo in modo di essere noi quel collega all’avanguardia.

• Potenziare le competenze trasversali – In un mondo dove le macchine sbrigano le pratiche, agli umani resta tutto ciò che è straordinario. Coltiviamo allora la creatività con esercizi di pensiero laterale, uscendo dalla nostra comfort zone e assorbendo idee da settori diversi. Alleniamo il problem solving complesso affrontando progetti nuovi che ci costringano a trovare soluzioni inedite. Sviluppiamo l’intelligenza emotiva: ad esempio, imparando l’ascolto attivo, chiedendo feedback ai colleghi sul nostro stile comunicativo, o seguendo corsi dedicati alla gestione delle relazioni e alla leadership empatica. Queste capacità migliorano la nostra efficacia in qualsiasi ruolo e sono, per loro natura, complementari all’AI (che ne è priva). Un team leader con alta intelligenza emotiva saprà guidare anche un team ibrido uomo-macchina meglio di uno privo di tale sensibilità.

• Aggiornarsi attraverso formazione mirata e coaching – Investire su di sé è la strategia più sicura. Ci sono ormai moltissimi corsi online (spesso accessibili anche gratuitamente) sulle tecnologie emergenti: data analytics, AI fundamentals, strumenti no-code, ecc. Iscriversi a un corso, conseguire una certificazione su un software AI, può differenziarci e darci subito modo di applicare nuove soluzioni nel lavoro quotidiano. Allo stesso tempo, valutiamo il valore di un coach o mentor: confrontarsi regolarmente con qualcuno (un collega senior, un consulente esterno, un career coach) che aiuti a identificare le competenze da sviluppare e le strategie per farlo, può accelerare di molto la nostra crescita. Coaching e mentoring sono potenti leve di adattamento, perché forniscono feedback personalizzati e sostegno nel cambiamento. In azienda, creare programmi di mentoring dove chi ha competenze digitali le trasferisce ad altri, e viceversa chi ha esperienza di business guida i più tecnici sull’impatto strategico, genera uno scambio virtuoso di conoscenze.

• Coltivare una mentalità agile e aperta al cambiamento – L’AI evolve rapidamente; ciò che oggi è all’avanguardia, tra un anno potrebbe essere superato. Dobbiamo dunque sviluppare una mentalità flessibile, pronta a mettere in discussione prassi consolidate e ad apprendere nuovi strumenti. Questo può voler dire, ad esempio, dedicare un’ora alla settimana a esplorare nuove tecnologie o metodologie (un po’ di R&D personale), oppure partecipare a community professionali, eventi o webinar sull’AI applicata al nostro settore, per rimanere aggiornati sulle novità. Un approccio agile implica anche non temere di sperimentare sul lavoro: proporre un piccolo progetto pilota di AI nella propria funzione, testare un nuovo workflow automatizzato, e imparare dagli errori per iterare. Le aziende apprezzano sempre di più dipendenti intraprendenti e adattivi, che si fanno promotori dell’innovazione dall’interno.


Dal lato delle aziende, la responsabilità è di creare un ambiente dove l’innovazione e la crescita delle persone siano incoraggiate. Le organizzazioni possono attuare programmi strutturati di reskilling/upskilling, offrendo corsi di formazione sull’AI ai dipendenti, sia tecnici che non. Possono incentivare la rotazione dei ruoli o la partecipazione a progetti innovativi trasversali, così che il personale sviluppi nuove competenze sul campo. È cruciale comunicare in modo chiaro la visione dell’azienda riguardo all’AI: se i leader spiegano che l’obiettivo è potenziare il capitale umano con nuovi strumenti e non tagliarlo, si crea un clima di fiducia e collaborazione verso la trasformazione. Alcune imprese all’avanguardia hanno introdotto la figura del “AI evangelist” interno o del responsabile dell’innovazione digitale, che coordina l’adozione dell’AI e forma i team sulle best practice. Altre stanno stipulando partnership con istituti formativi e business school per creare Academy aziendali focalizzate sulle competenze del futuro. Tutte queste iniziative mandano un messaggio potente: il capitale umano è un asset da valorizzare, non un costo da eliminare.


In conclusione, l’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro non è un film distopico già scritto, ma un capitolo ancora in fase di redazione – e noi, in quanto professionisti e leader, possiamo contribuire a scriverlo. I dati ci mostrano un panorama sfaccettato: alcuni ruoli caleranno, molti altri cresceranno, e nuovi nasceranno. Gli esperti ci invitano a non cedere né al panico né alla complacency, ma a muoverci con consapevolezza. C’è un filo conduttore: adattabilità. Come evidenziato dalla BLS e da voci autorevoli, la chiave del successo nell’era AI sarà la nostra capacità di reinventarci, formarci di continuo e mettere in gioco le qualità più autenticamente umane . L’AI potenzierà chi saprà usarla, mentre renderà marginale chi resterà fermo. Sta a noi decidere da che parte della storia vogliamo stare.


In definitiva, invece di chiederci se l’AI ci toglierà il lavoro, dovremmo chiederci: come posso rendere il mio lavoro più significativo grazie all’AI? La tecnologia farà la sua parte – inarrestabile – ma l’esito finale dipende dalle nostre scelte. Con la giusta formazione, un pizzico di coraggio e molta mentalità aperta, possiamo costruire un futuro professionale dove l’AI non è un avversario, bensì un alleato potente. E nel quale il capitale umano – arricchito di nuove competenze – rimane il motore insostituibile di ogni organizzazione di successo.


Fonti: Dati e proiezioni occupazionali da U.S. Bureau of Labor Statistics ; analisi di impatto AI su settori e competenze da rapporti BLS e commenti di esperti (I. de Gregorio , J. Procopio, E. Dans ); studio MIT sul costo dell’automazione .

 
 
 

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Ambra Piscopo Esempio di Manufatto 3d in Training
Ambra Piscopo

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Sono una coach esperta e facilitatore certificata in LEGO® Serious Play® ideatrice di AGILE PEOPLE ITALIA - la metodologia LEGO® SERIOUS PLAY® | Workshop LEGO®

Specializzata nell'accompagnare individui e team attraverso processi di crescita personale e sviluppo professionale. La mia passione per l'innovazione e il miglioramento continuo mi ha portato a integrare metodologie creative e partecipative nelle mie sessioni di coaching e workshop, con l'obiettivo di sbloccare il potenziale nascosto e promuovere una comunicazione efficace all'interno delle organizzazioni.

La mia esperienza come facilitatore LEGO® Serious Play® mi permette di guidare i partecipanti attraverso un processo unico e immersivo, dove l'uso di mattoncini LEGO® diventa uno strumento potente per l'esplorazione di idee, la risoluzione di problemi e la costruzione di visioni condivise.

Le mie sessioni di LEGO® Serious Play® sono adatte a una vasta gamma di contesti, inclusi lo sviluppo della leadership, il team building, la pianificazione strategica e l'innovazione. Collaboro strettamente con i miei clienti per personalizzare ogni esperienza, assicurando che gli obiettivi specifici vengano raggiunti e che ogni partecipante lasci la sessione sentendosi energizzato, ispirato e dotato di nuovi strumenti per il successo.

 

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